A due passi dalla dittatura
Più sanculotti che giacobini i provvedimenti contro l’inviolabilità parlamentare

Siamo costretti a correggere un professore illustre come Michele Ainis, non per pedanteria, ma per rafforzare e se possibile approfondire una sua corretta intuizione. Ospite ieri sera del Tg3 per discutere della Riforma del Senato, il professore ha ricordato che persino i giacobini introdussero l’inviolabilità dei rappresentanti della nazione in sede di legislativa nel 1790. Vero, solo che la stessa fazione giacobina preda poi dei sanculotti, abolì tale inviolabilità nel 1793 con i decreti del primo e del 5 aprile. Altrimenti non si sarebbe potuto far arrestare 22 deputati girondini e tempo un anno, Danton, Philippeau, Camille Desmoulin, tutti eletti alla Convenzione e tutti condotti al patibolo. Per cui va detto, ad onore della ricostruzione storiografica, che se la democrazia si accompagna con l’introduzione dell’immunità parlamentare, il primo passo della dittatura è la soppressione di una prerogativa che salvaguardava la libertà del Parlamento. A proposito, nel verbale della sezione dei Giacobini del 2 giugno 1793 si legge che la Convenzione assediata dalle truppe (chiamiamole così) del Comune, non consentiva ai suoi membri di uscire dall’aula “nemmeno per fare i propri bisogni”. Se si vuole trarre un qualche insegnamento dalla Grande Rivoluzione in fatto di dinamiche istituzionali, questo è il primo e pure dovrebbe essere alla portata della comprensione di tutti. Sembra invece che la nostra intellighentsja più riconosciuta (Ainis è editorialista del Corriere della Sera, ospite televisivo ecc ecc.), fatichi a comprendere la deriva imboccata dal Paese a furia di colpi di mano istituzionali, più sanculotti che giacobini. Si finisce così per difendere molto timidamente le principali prerogative democratiche e quando si chiede parità di considerazione per i membri delle due Camere, si complicano le cose: Il presidente Finocchiaro, ad esempio, per ottenere la parità ritiene necessario abolire l’immunità anche per Montecitorio. Non c’è bisogno della rivoluzuione per vedere in agguato mozzaorecchi di ogni genere. Il problema che però ci riguarda è un altro, ovvero nel caso in cui si mantenesse invece, come chiede Ainis, del resto, l’immunità al Senato, ecco che sindaci e consiglieri di Regione eletti a Palazzo Madama, anche quando impegnati nelle loro incombenze amministrative locali, godrebbero comunque un’inviolabilità che escluderebbe gli stessi loro colleghi negli organismi di provenienza. Alterazione altrettanto grave, se non di più, perché discriminerebbe i membri eletti di una medesima assemblea. Davanti ad un tale sfacelo del diritto istituzionale, sentiamoci in dovere di dire una parola chiara: noi siamo per la difesa delle prerogative costituzionali quali furono adottate dall’Assemblea costituente del 1948 per tutti i membri del Parlamento, indistintamente, Senato e Camera. Non vorremmo, invece, che queste prerogative di inviolabilità venissero però estese anche alla comune amministrazione, perché se ancora non lo si è capito è questo il rischio di cui si tratta dopo lo scandalo che ha colpito il Mose.

Roma, 24 giugno 2014